Entrando a Birkenau la sensazione di desolazione è sconfinata. Una terra di nessuno più arida di qualsiasi deserto, dove la morte la respiri, la vivi, ti soffoca, diventa macabra parte della vita.
Noi, turisti in vacanza estiva, arrivammo in quel luogo non-luogo su un pullman, stracolmo di gente ancora stordita dalle enorme quantità di capelli, scarpe, occhiali, cunicoli, racconti, foto, cenere di Auschwitz. Eravamo così tanti che non c’erano posti a sedere, stretti l’uno all’altro, così vicini da diventare un’unica informe massa di gente sudata, che, incredula, si muoveva in uno dei buchi neri della Storia. Vedere fuori dal finestrino era impossibile, ma non importava, capimmo che il nostro breve viaggio era finito quando, le ruote del pullman sobbalzarono all’ incontro con le luttuose rotaie e, noi turisti in vacanza estiva, in quel preciso momento, entrammo in diretto contatto con la Storia come mai in vita nostra. Un lungo interminabile istante, un clic che ricordava delle ossa rotte, turisti in apnea storica. Ricordo ancora la sensazione sotto i piedi, un brivido incontrollato, pelle d’oca.
Arrivai a Birkenau sotto un cielo di metà Agosto, sfrontatamente azzurro; non avevo stelle di David sul mio braccio, non avevo un numero tatuato sulla pelle, avevo ancora tutta la mia dignità di donna e di essere umano; sapevo esattamente quando sarei uscita di li, io ero e sono una semplice turista in vacanza estiva.