Se siete alte più di 170 cm, portate la taglia 38/40 e quando camminate per strada vi riconoscete nei manichini esposti nelle vetrine delle boutique non andate oltre con la lettura. Le parole che seguiranno sono dedicate a chi, come me, ha dimensioni tascabili e ricorda un’anfora.
Mi rivolgo alle donne della strada (detta così non è bella ma avete capito cosa intendo), alle donne che devono lottare con la pancetta, la gamba non molto slanciata, i seni troppo grossi ed i fianchi “accoglienti”: quante volte vi siete sentite sconfitte dopo un pomeriggio di tentato shopping? Io tante…
Diciamoci la verità: la moda è razzista. Affermazione troppo forte ma è la prima che mi viene in mente ogni volta che vedo la mia immagine riflessa nelle vetrine dei negozi, dove ad indossare gli abiti, quelli che, secondo l’assurda idea dello stilista di turno, dovrebbero stare anche su di me, ci sono manichini che avrebbero fatto impallidire Naomi Campbell ai tempi delle sfilate per Versace. Continuo a pensare che la moda sia razzista anche quando, in camerino, stretta in abitini “alla moda” (di chi?) mi ritrovo ad essere a metà strada tra un Chupa Chups, larga sopra e stretta sotto e l’omino della Michelin (facciamo a gara per numero di rotoli) . La moda è razzista anche quando, entrando in un negozio, scopro che quasi il 50% degli abiti che metterei sono destinati a watusse, mentre il restante 50%, sono pensati per Lolitone di 40 anni, bimbe (minkia) in pieno svilluppo ormonale o arrivano direttamente dal reparto baby.
Bene, visto che in molti hanno lanciato l’idea di far sfilare modelle più “rotonde” ed esporre manichini più tridimensionali perché non farli anche più bassi. Anch’io, per una volta, vorrei provare il brivido di riconoscermi nella “finta donna tutta d’un pezzo” aldilà del vetro, senza sentirmi esclusa dal “mondo fashion”. Posso provare a convincermi d’essere nata nell’epoca sbagliata e che negli anni 50’ sarei andata via come il pane ma oh… non sempre funziona, un aiuto dall’esterno ogni tanto ce vo’.