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Category: Leggere e guardare

C’era una volta il tronista. Oggi c’è lo startupper.

Mettiamo subito le cose in chiaro: guardo Uominie&Donne.

Se questa diretta e aperta dichiarazione vi scandalizza siete autorizzati ad abbandonare la lettura.

Dicevamo…guardo Uomini&Donne, lo guardo perché durante la digestione non voglio nulla che appesantisca la mia attività intestinale.

Lo guardo da così tanto tempo che posso ritenermi un’esperta senior.

Sul trono rosso ho visto passare tanti addominali ed extension che neanche Ibiza, in alta stagione, riuscirebbe a contenerli.

Video di presentazione, versione più raffinata e patinata dei prediciottesimi; esterne con contenuti così “profondi” che Topolino a confronto è un trattato di alta filosofia; donne stile BungaBunga berlusconiano e uomini Big Jim, seduti sulle poltroncine da corteggiatori.

Un bel giorno però, nello studio di Cinecittà, il cielo di carta di pirandelliana memoria si strappa e, il fantastico teatrino fatto di perenni abbronzature e ricostruzione delle unghie, inizia a vacillare.

La fine del periodo berlusconiano; l’avvento dei social; la crisi economica e l’americanizzazione del lavoro, ha finito per fagocitare tronisti, corteggiatori ed esterne, lasciando come unica suprema superstite Maria che, accovacciata sulle sue scale, ha visto mode, gusti, leggi cambiare così tanto da non poterle ignorare.

Dopo il trono gay (ho già scritto cosa ne penso qui), arriva il tronista laureato alla Bocconi, di professione startupper che, più che in un video di presentazione, si lancia in un pitch.

Quando vi chiedete perché “Queen Maria” fa diventare oro tutte le trasmissioni che tocca, pensate che lei è un po’ come Zuckerberg: quello che non riesce ad inventare, lo imita.

Uomini e Donne e le pari opportunità

Da qualche giorno Uomini e Donne (sì è una trasmissione che vedo. Sono una cattiva persona. Andrò all’Inferno con diavoli vestiti da tronista), accanto alle unghie finte e ai muscolieterosempreabbronzati, ha introdotto (finalmente!) il trono omo.

Un bel ragazzo (spreco della natura per noi donne etero) viene corteggiato da altri bei ragazzi (paradossalmente dall’aspetto più etero di tutti i tronisti e corteggiatori passati su quei sgabelli), lasciando fuori dallo studio le vocine in falsetto, le manine a farfallina da checche isteriche alla Enzo Miccio e gli abiti da parata del Gay Pride.

Sembrerà paradossale ma, una delle trasmissioni più trash della televisione (sempre mooolto meno di Pomeriggio/Domenica5), sta tentando una impresa che, se affidata ad altre trasmissioni impegnate, sarebbe stata fallimentare:

1. introdurre il tema della omosessualità tra un pubblico che va dalla Signora Maria al super figo palestrato, convinto di dover dimostrare tutto il suo macismo h24.
2. Dimostrare che, essere gay, non è una categoria sociale stereotipata o un fenomeno da baraccone incentrato solo su rapporti fisici e incontri casuali in discoteca.

Chapeau quindi alla Maria nazionale se, alle 15 del pomeriggio, nella tv generalista e macista, ha l’ambizione di parlare di sentimenti omosessuali.

Chapeau a Maria anche quando, proprio durante il famoso “ballo”, – uno dei classici momenti della trasmissione – decide di scende dagli scalini, di fare quei pochi passi che di solito la separano dal mondo che lei stessa ha creato, per diventare non corteggiatrice ma mamma che sussurra rassicurazioni e consigli, a quel ragazzo che ha invitato a ballare, perchè timidamente seduto sul trono consapevole che nessuno, per pudore, lo inviterà a scendere in pista.

Festival di Sanremo: una serenità semplice. Una serenità italiana.

Erano gli anni ’80, ero bambina e per me la finale del Festival di Sanremo era la felicità.

Non conoscevo ancora il significato di nazional-popolare; non capivo a fondo il testo delle canzoni ed ero troppo piccola per poter tifare per un cantante; Twitter non esisteva e la tv si seguiva guardandola, non leggendola.

Aspettavo la finale di Sanremo perchè era di sabato e  il giorno dopo non andavo a scuola; potevo andar a dormire tardi; mamma preparava la pizza e aspettavamo la proclamazione del vincitore tutti insieme nel lettone dei miei genitori.

Mio padre, con una complicata operazione (roba da trasloco), riusciva a trasferire la tv dalla cucina alla camera da letto e dopo averla posizionata su una sedia, sfidando qualsiasi legge di gravità, stavamo li…ad ascoltar canzoni e a sonnecchiare un po’.

Una serenità semplice…una serenità, nel bene e nel male, tutta italiana.

La mia canzone del Festival di Sanremo? Almeno tu nell’universo

Avevo solo dieci anni quando Mia Martini, cantò con tutta la sua disperata malinconia “tu, tu che sei diverso, almeno tu nell’universo” sul palco dell’Ariston.

Avrei capito il testo solo molti decenni dopo ma da quel momento, iniziai a comprendere la necessità, senza età, di avere un punto fermo nell’universo.

In morte del cinema Armenise

La sala di un cinema per me è come una chiesa.
Forse esagero ma, una volta varcata la pesante e polverosa tenda blu, inizia un rapporto esclusivo tra me e l’odore ovattato di moquette; i discorsi sordi dei miei vicini di posto e il gioco del “chi si siedera’ dove”.

Mi piace annusare in silenzio il sapore caldo e bruciato dei pop-corn e individuare nello spazio il profumo che, per quella sera, farà da colonna sonora olfattiva al film (eh sì…per me ogni film ha un odore e spesso e’ quello del mio vicino di posto…quindi lavatevi please!).

Amo le musichette introduttive dei film, per intenderci quelle delle case di produzione; stramba come cosa lo so, ma quegli stachetti mi ricordano l’euforia dei sabati pomeriggio di quando andavo a scuola; il giorno successivo era festa, si usciva dall’ordinario e si poteva fantasticare su come sarebbe stata la giornata.

Mi diverte anche l’intervallo tra il primo ed il secondo tempo quando, meta’ sala resta al buio e, tra l’indecisione generale e l’imbarazzo per tornare a vedersi dopo un ora di penombra (come dopo un momento di intimità in una coppia), quasi tutti contemporaneamente decidono di andare in bagno ( e tutti, altrettanto contemporaneamente, decidono di tornare dal bagno proprio quando il film è appena iniziato, con conseguente sconvolgimento delle file e piedi pestati e “mi scusi” e ” non trovo più il mio posto” e “accendi il display del telefonino così almeno vediamo i numeri sulle poltroncine”).

Ecco, per me il cinema e’ un pezzo di vita che condivido con dei perfetti sconosciuti che, per un incastro di momenti, vivono con me la vita di altri perfetti sconosciuti, sia in platea che sullo schermo.

Quando chiude un cinema quindi, non è solo una sala che non c’è più ma viene a mancare anche la possibilità di incastrarsi, conoscere e fantasticare su altre storie.

Storia di un ovetto che vuole essere altro

Ogni giorno, accanto alle semplici operazioni quotidiane, compiamo “nuovi” gesti, impensabili anche solo 20 anni fa. Ogni giorno infatti, ci sediamo alla scrivania nel nostro studio, accendiamo il pc e iniziamo a navigare: rispondiamo ed inviamo mail, postiamo il nostro ultimo selfie con la bocca a bocciolo di rosa aspettando impazienti di leggere i commenti dei nostri amici; twittiamo al personaggio famoso, visto nel film al cinema la sera precedente e prenotiamo il week-end al mare da Tripadvisor.

Non c’è nessuna premeditazione nei nostri gesti, non c’è pianificazione.

Chi la vista non ce l’ha però, come fa a “toccare” un post, un articolo, una foto virtuale? Un cieco, scatta selfie, twitta, legge le mail e prenota le sue vacanze direttamente dal pc senza andare in agenzia (operazione che ormai appare così vintage anche ai meno social)?

Un sondaggio  del 2012 effettuato da WebAIM riporta dei dati che dovrebbero far riflettere: solo il 7,4% dei social media risulta molto accessibile per i non-vedenti; mentre, un secondo sondaggio del 2013, dichiara accessibili agli ipovedenti solo il 13,7 % dei social media. Strano come il luogo di aggregazione di massa per eccellenza, non aggreghi ma divida; strano come la community sia meno comunità per alcuni; strano come il pc, un mezzo tecnologico “pret- a- porter”, non sia per tutti.

I non-vedenti però, i social media li usano e a dimostrarcelo negli ultimi giorni è Filippo Tenaglia.

Filippo, attraverso l’hashtag #unaimmagineperFilippo chiede, a chi Twitter lo vede, di inventare per il suo account, un’immagine che faccia diventare l’ovetto twitteriano altro. L’appello pare stia riscuotendo un notevole successo, molte sono le immagini arrivate e se da una parte, c’è chi su Twitter chiede un’auto, ricevendo risposta solo dalla Smart; dall’altro, c’è chi, semplicemente chiede di dischiudere il proprio ovetto social e riceve un numero consistente di proposte grafiche.

Ricordiamoci di Filippo, del suo ovetto e della sua semplice richiesta quando, la prossima volta che siamo davanti al pc e facciamo in modo che il pensiero sia anche più forte se con i social media ci lavoriamo, se siamo blogger (soprattutto di successo e “fiki”) o siamo web-master. Il nostro primo obiettivo è comunicare e dobbiamo farlo arrivando a tutti: alle persone alte e basse, ai magri e ai grassi, ai pugliesi e agli emiliani, ai belli e ai brutti, ai vedenti e ai non-vedenti.

Adesso, sediamoci al nostro pc, bendiamoci e iniziamo a capire che effetto fa non vedere un mondo fatto di immagini.

Immagine: Studio Vendetta – Gagliarde grafiche e affini – Parma (Italia)