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Tag Archives: donne

Io, le calze e Calzedonia

Cara Calzedonia, sono anni che acquisto le tue calze e fidati, con le commesse che il tuo ufficio del personale seleziona, é una grande dimostrazione di fiducia.

Come ormai faccio da anni, sono entrata in un tuo store chiedendo dei semplici collant neri (sta volta commessa gentile: un miracolo!); ero motivata e piena di entusiasmo: calze nere, coprenti ma non troppo, calde ma leggere.

Tutto andava bene, guardavo il mio elegante pacco di collant sicura d’aver fatto la scelta giusta, fino a quando…ho deciso di indossarli. Da quel momento é iniziata una lotta contro il mio essere donna. Ci sono voluti ben dieci minuti per tirare su i benedetti collant con l’aiuto di mia sorella, che non credeva ai suoi occhi e di mia madre che, per il troppo ridere…piangeva.

Ho dovuto  combattere non con un semplice e confortevole collant ma con un essere mitologico, una calza a due teste: panciera contenitiva da una parte e cintura di castità dall’altra, roba che, se hai pensato di indossarli per un’uscita galante, perdi tutte le speranze dell’happy-end sin da subito.

Pressione regolata sulle gambe per aiutare la circolazione, manco avessi più vene varicose di una plurigenitrice; spinta per effetto pancia piatta (ed io che passo ore in palestra a lottare contro i miei addominali); push up del gluteo con relativo cuscinetto, uno per chiappa per perdere la sensibilità al lato B.

Insomma cara Calzedonia, dimmi la verità…’ste benedette calze le ha inventate un uomo che avrebbe voluto vedere la propria donna in autoreggenti e bustino sado tutto il giorno, altrimenti non si spiega tanta cattiveria racchiusa in quello che sarebbe dovuto essere un semplice paio di calze, della mia giusta taglia.

Ultima domanda, rivolta alle donne: avete pensato che una volta tolti i collant l’effetto chiappa alta e pancia piatta alla Belen vada a farsi benedire?

Rossetto e cioccolato

Lo ammetto, ho ceduto anch’io alle tentazioni della moda e da qualche mese sono passata dal “vadobenecontutto” gloss nature ad un più impegnativo rossetto rosso fuoco.

Nella scelta però, ho sottovalutato le conseguenze della moda.

Quando acquisti un rossetto rosso fuoco, non c’è il bugiardino del make up, che ti avvisa su cosa si deve o non deve fare; non c’è neanche una Clio a portata di mano che ti insegna i trucchi per i trucchi. Non c’è nulla di tutto ciò.

Quando acquisti un rossetto rosso fuoco, ti ritrovi sola davanti allo specchio ed è li che inizia la lotta: l’effetto Joker è sempre dietro l’angolo. Dimenticate le bocche perfettamente disegnate delle riviste di moda; Vanity Fair è un mondo fatto di labbra carnose e rosse al punto giusto, riservato a poche elette. La realtà, per noi povere mortali, prevede denti segnati di rosso e labbra a macchia di giaguaro.

Quando acquisti un rossetto rosso, pensi immediatamente: con questo lo conquisto. Mi presento con due labbra rosse così, ogni tanto faccio finta di mordicchiarmi il labbro inferiore e la serata è fatta.

Mai pensiero è stato più sbagliato: avete mai provato a baciare con un rossetto rosso? Se sull’uomo, le tracce del vostro rossetto, lo faranno apparire come un gran Don Giovanni  (non è un caso che ci sono pagine e pagine di libri e scene e scene di film che trattano l’argomento: uomo e macchie di rossetto) su di noi, quel rossetto, verrà spalmato su tutta la faccia, provocando l’effetto “ho sbattuto la faccia in un piatto di pasta al pomodoro”.

Quando acquisti un rossetto rosso, non tieni conto che, anche mangiare o bere diventa un’impresa difficile, subito si palesa il dilemma: mangio, rovino il rossetto, vado in bagno a ritoccarlo, rimangio, rovino il rossetto, ritorno in bagno a ritoccarlo e così per tutta la serata o dico che non ho fame e sono fantastica per tutta la sera?

Bene, quando sono arrivata a pormi questa domanda davanti ad una tazza di cioccolata calda, ho fatto la mia scelta: ho preferito la cioccolata che, diciamocelo, è anche più afrodisiaca del rossetto rosso

Se la responsabilità fosse delle donne?

Se fossimo proprio noi donne ad aver creato il vuoto nelle pari opportunità?

Noi mamme, figlie, sorelle, zie, nonne, compagne, amiche, fidanzate, mogli,  dovremmo essere in prima linea nell’educazione alla cultura degli “stessi diritti”.

Dovremmo spiegare ai bambini che le donne che incontreranno nella loro vita, non sono nemiche; alle bimbe dovremmo spiegare che uno schiaffo, sul volto o all’anima, non è una forma d’amore ma è violenza pura e gratuita.

Dovremmo far capire ai bambini che la bellezza non è necessariamente sinonimo di “leggerezza” o non rende una donna “facile”. Le bambine invece, sin da subito, dovrebbero comprendere il sano valore di curare il proprio aspetto senza trascurare il fascino della cultura. L’incanto femminile è dato solo dall’unione del corpo e della mente.

Dovremmo prendere l’abitudine di raccontare ai bambini, come “favole  della buonanotte”, le vite degli uomini e delle donne che hanno reso speciale la nostra Storia. Dovremmo far in modo che sin da piccoli, i sogni dei bambini, siano popolati di cavalieri meno azzurri e più colorati e principesse non sempre rinchiuse in torri alte e isolate, con lunghe trecce bionde…i capelli ogni tanto devono essere tagliati e i cavalli bianchi lasciati.

La transumanza dei piumoni

Ogni anno, con l’arrivo dell’inverno, centinaia di piumoni migrano dal caldo Sud al freddo Nord.

Le destinazioni sono le più disparate ma gli arrivi sono uguali. Tutti i piumoni vengono accolti con calda gioia e morbidi abbracci.

Risalgono la penisola italiana, stretti sottovuoto, per stare nella valigia posizionata nella stiva dell’aereo o siedono accanto alla propria compagna di viaggio, sul sedile della macchina o del treno; quasi sempre i piumoni si accompagnano a donne. Raramente prendono il traghetto, soffrono il mal di mare e temono l’umidità.

Sembra paradossale che donne del Sud, poco abituate al freddo, quello vero, quello nordico che ti entra nelle ossa, siano esperte di piumoni tanto da mandarli in giro per tutto il Nord dell’Italia con orgoglio.

Invece, la donna del Sud, mamma, sorella, amica, fidanzata, nonna, zia, riesce con dovizia di dettagli e grande abilità tecnica, a scegliere il piumone giusto, quello che renderà le notti settentrionali calde e darà l’idea d’essere ancora su una spiaggia assolata della Sicilia, oppure davanti al meraviglioso paesaggio della costiera amalfitana o all’ombra di un ulivo secolare.

Ci sono alcuni piumoni che vanno per poi tornare, altri invece decidono di trasferirsi nella nuova casa e iniziano ad utilizzare l’articolo determinativo davanti ai nomi propri – vezzo tutto  nordico – per sentirsi più integrati. Così il piumone inizierà a farsi chiamare “il Piumone”  ma di notte, mentre è intendo a riscaldare, sognerà di tornare ad essere solo e soltanto “piumone”.

Adesso che ci penso, anch’io devo far migrare un piumone; c’è un letto al centro di Bologna che aspetta di ospitarlo. Quel letto ed il mio piumone hanno molti aneddoti da raccontarsi e storie di tortellini ed orecchiette da inventare.

La moda è razzista

Se siete alte più di 170 cm, portate la taglia 38/40 e quando camminate per strada vi riconoscete nei manichini esposti nelle vetrine delle boutique non andate oltre con la lettura. Le parole che seguiranno sono dedicate a chi, come me, ha dimensioni tascabili e ricorda un’anfora.

Mi rivolgo alle donne della strada (detta così non è bella ma avete capito cosa intendo), alle donne che devono lottare con la pancetta, la gamba non molto slanciata, i seni troppo grossi ed i fianchi “accoglienti”: quante volte vi siete sentite sconfitte dopo un pomeriggio di tentato shopping? Io tante…

Diciamoci la verità: la moda è razzista. Affermazione troppo forte ma è la prima che mi viene in mente ogni volta che vedo la mia immagine riflessa nelle vetrine dei negozi, dove ad indossare gli abiti, quelli che, secondo l’assurda idea dello stilista di turno, dovrebbero stare anche su di me, ci sono manichini che avrebbero fatto impallidire  Naomi Campbell ai tempi delle sfilate per Versace. Continuo a pensare che la moda sia razzista anche quando, in camerino, stretta in abitini “alla moda” (di chi?) mi ritrovo ad essere a metà strada tra un Chupa Chups, larga sopra e stretta sotto e l’omino della Michelin (facciamo a gara per numero di rotoli) . La moda è razzista anche quando, entrando in un negozio, scopro che quasi il 50% degli abiti che metterei sono destinati a watusse, mentre il restante 50%, sono pensati per Lolitone di 40 anni, bimbe (minkia) in pieno svilluppo ormonale o arrivano direttamente dal reparto baby.

Bene, visto che in molti hanno lanciato l’idea di far sfilare modelle più “rotonde” ed esporre manichini più tridimensionali perché non farli anche più bassi. Anch’io, per una volta, vorrei provare il brivido di riconoscermi nella “finta donna tutta d’un pezzo” aldilà del vetro, senza sentirmi esclusa dal “mondo fashion”. Posso provare a convincermi d’essere nata nell’epoca sbagliata e che negli anni 50’ sarei andata via come il pane ma oh… non sempre funziona, un aiuto dall’esterno ogni tanto ce vo’.