La lenta digestione post pranzo di Natale, mi ha fatto tornare alla mente, le recite scolastiche natalizie. Dai 5 ai 10 anni, dalla seconda metà di novembre, prima di uscire di casa per andare a scuola, tutti i giorni mi guardavo allo specchio, sperando di trovare somiglianze con l’immagine diafana della Madonna ritratta sui santini.
A scuola osservavo le mie ipotetiche rivali facendo un’ideale classifica delle aspiranti Madonne; escluse le bimbe con i capelli più corti dei miei (da sempre la Madonna ha una lunga chioma), a preoccuparmi maggiormente erano le bambine dall’aspetto etereo, quelle che sembravano nate per “essere Madonna”.
La notte prima dell’assegnazioni del ruoli, mi addormentavo con il grande desiderio di svegliarmi il mattino seguente bionda e con gli occhi azzurri: miracolo che ovviamente non avveniva.
Avere la parte della Madonna, per me voleva dire tanto: significava essere, in modo discreto, la protagonista; avrei lasciato il segno senza proferire parola, solo con la mia presenza. Pensavo e penso ancora che, chi visita un presepe vivente, supera capre, mucche, improbabili centurioni, la galleria degli antichi mestieri (quasi tutti sconosciuti a Betlemme), solo per arrivare davanti alla capanna di Gesù Bambino, dove insieme a San Giuseppe muto, il bambinello muto, il bue e l’asinello muti c’è anche la Madonna muta ma bellissima.
A pochi giorni dalla recita, ogni anno, il mio sogno natalizio, veniva puntualmente deluso, quando, la maestra, scorrendo l’elenco dei nomi per il ruolo della Madonna, non pronunciava il mio. La parte tanto agognata veniva affidata a quella che per me era la bambina più anonima della scuola, che a suo favore, aveva solo degli insignificanti occhi celesti e comunissimi capelli biondi. Le maestre non hanno mai capito che se la scelta fosse ricaduta su di me, avrebbero avuto l’occasione di presentare ai genitori una Madonna alternativa, diversa dal solito canone di bellezza della donna angelicata, una Madonna dalla personalità forte e “al passo con i tempi”, una Madonna mediterranea e paradossalmente più vicina alla realtà. Invece si sono sempre accontentate di seguire un banale clichè.
A quel punto, prima che la maestra finisse di assegnare le parti, sapevo benissimo quale sarebbe stato il mio destino. Le parole pronunciate dall’ insegnante altro non erano che la conferma: angelo presentatore/narratore; avrei recitato per l’ennesima volta nei panni candidi e argentati di un angelo che racconta. Avrei dovuto narrare a tutti la storia di Gesù Bambino, presentando i personaggi e le atmosfera di quella notte (è nato di notte Gesù, vero?); sarei stata al centro dell’attenzione con la parola ed il gesto, non sarebbe bastata la mia sola presenza. A nulla valevano i tentativi di convincimento di mia madre, che con pazienza, cercava di spiegarmi che la parte assegnatami non era per tutti, a me non bastava…io volevo fare la Madonna.